Bianco o integrale
Il pane attualmente più diffuso è quello che si ottiene facendo lievitare un impasto di farina di grano tenero con il lievito. Alcuni pani tipici sono fatti con grano duro.
Il bianco si produce utilizzando farina raffinata, privata cioè del germe e, totalmente o in parte, della parte esterna del chicco comprendente la crusca e lo strato aleuronico (tessuto contenente proteine di riserva ad elevato valore biologico).
L’integrale dovrebbe essere fatto utilizzando la farina tal quale come la si ricava dalla macinazione del chicco di grano. Questo accade per alcuni pani tipici, ma non per la gran parte di quelli comuni che sono prodotti invece con farina raffinata addizionata di crusca. Sconsiglio il consumo di questo pane per molteplici motivi: una farina siffatta non è da considerare integrale anche se la normativa vigente consente di chiamarla tale (peraltro manca del germe che è la parte più nobile del chicco); la crusca da agricoltura convenzionale può contenere pesticidi; la crusca e la fitina presenti in essa, restando inalterate nel pane dopo la lievitazione con lievito di birra, sono causa rispettivamente di gonfiori di pancia e di riduzione dell’assorbimento di minerali come calcio, ferro e zinco. A soffrirne di più sono proprio le persone cui viene consigliato incautamente di consumare questo tipo di pane, cioè quelle che si lamentano di stitichezza o di colon irritabile.
Chi pensa che la farina utilizzata per fare il pane non sia altro che il prodotto della molitura del chicco di grano si sbaglia. Di solito è addizionata di sostanze che hanno il compito di rimediare alla sua cattiva qualità e di accelerare la lievitazione. In tal modo un impasto, che senza queste sostanze stenterebbe a lievitare, lievita molto e in pochi minuti. Il pane così ottenuto procura gonfiore perché i lieviti, pur crescendo numerosi, non hanno il tempo di rendere digeribili l’amido e le proteine della farina. Ne sconsiglio l’uso soprattutto alle persone che sono intolleranti al lievito o soffrono di candidosi intestinale. Se proprio vi si deve ricorrere, lo si consumi dopo averlo tostato perché così diventa più digeribile e anche un po’ più saporito. Il pane troppo lievitato (la michetta e la rosetta sono due esempi) si riconosce perché è quasi vuoto all’interno. È anche ricco di purine ed è quindi sconsigliabile alla persone che soffrono di acido urico. Evitate di consumare i pani speciali a lunga conservazione (pan carré, pane a fette o da sandwich). Non solo contengono vari additivi e grassi ma sono trattati anche con alcol etilico.
Il pane a lievitazione naturale
In questo caso l’impasto non è addizionato con lievito di birra ma viene fatto lievitare grazie all’azione dei microrganismi benefici che sono presenti naturalmente nella farina o provengono dall’ambiente di panificazione. Si chiama anche impasto acido perché la fermentazione operata da questi microrganismi produce acidi organici che danno un leggero sapore acidulo al pane. La lievitazione può essere favorita dall’aggiunta all’impasto di una “madre”, consistente in un impasto maturo proveniente da una precedente lavorazione. La lievitazione dura ore e non ha bisogno di miglioratori. La mollica che si ottiene è intessuta uniformemente di numerose cavità di piccole dimensioni e odora leggermente di aceto. Se le cavità sono grosse significa che è stata associata una lievitazione con lievito di birra. Se l’odore di aceto è molto forte dovete sospettare che sia stato aggiunto un acidificante.
Durante la lievitazione naturale, amido e proteine (compreso il glutine) subiscono una benefica trasformazione. Se la farina impiegata è integrale, la crusca e la fitina sono rese innocue. La lievitazione acida produce anche sostanze che hanno un effetto benefico sullo sviluppo della microflora intestinale (effetto prebiotico) o svolgono azione preventiva rispetto alle malattie degenerative (delle virtù salutari del pane vi parlerò nel prossimo articolo). Si sviluppano anche numerose sostanze aromatiche. Tutto ciò fa sì che il pane che si ottiene dalla lievitazione naturale sia saporito, digeribile e salutare. Ovviamente la farina impiegata deve essere di qualità. Pani tipici apprezzabili di questo tipo sono quelli di Genzano e Altamura.
Il pane biologico
Il pane biologico si fa impiegando farine ottenute da frumento non trattato con pesticidi di sintesi, ricorrendo soltanto a quei pochi additivi permessi ed evitando enzimi provenienti da organismi geneticamente modificati. Tutto ciò è lodevole ma non basta.
Un pane è veramente buono se è fatto con farina di qualità, come quella che si ricava da varietà antiche e da coltivazioni non forzate a produrre attraverso eccessive concimazioni azotate, e che sia stata macinata da poco. Se la lievitazione dell’impasto è fatta con il lievito di birra, deve essere lenta e non accelerata da miglioratori. La farina è veramente integrale se comprende anche il germe.
Ricordatevi che il pane integrale, anche se biologico, non può che essere fatto con la lievitazione naturale, altrimenti può dare problemi digestivi per la mancata degradazione della crusca. È importante che anche l’acqua usata per l’impasto sia buona. Ideale è quella di sorgente, ma in mancanza si faccia attenzione al suo contenuto in cloro e in nitrati.
Un buon pane, biologico o no, se ben conservato, dura diversi giorni. Più il formato è grande più a lungo si conserva. Deve essere tenuto nel suo involucro di carta o in una borsa di stoffa (cotone o lino) chiusa, a temperatura ambiente e lontano dall’umidità. Il pane non va mai consumato caldo appena sfornato perché, oltre a pesare di più, può dare problemi digestivi. Un’ultima raccomandazione: non buttate il pane raffermo ma utilizzatelo per preparare gustose pietanze.
Il pane del supermercato
La fragranza che sprigiona vi riporta alla memoria il buon pane appena sfornato di una volta. Ma fate attenzione soprattutto se state comprando in un supermercato. Il pane che vi sta tentando può anche essere appena uscito dal forno ma non è fresco perché è stato lievitato, cotto parzialmente e surgelato tempo addietro per poi essere messo al forno, per completare la cottura, al momento della vendita. Contiene additivi vari tra cui grassi di provenienza ignota trasformati chimicamente (sono quelli indicati con le sigle E 471 ed E 472 oppure come mono e digliceridi degli acidi grassi o esteri di E 471). È molto croccante appena sfornato ma diventa prima molliccio e poi duro come una pietra dopo poche ore. La legge obbliga a metterlo in vendita in comparti separati dal pane fresco, già confezionato e con la dicitura che riporta come è stato ottenuto. Non tutti i negozianti però si attengono scrupolosamente a queste regole.
Il bianco si produce utilizzando farina raffinata, privata cioè del germe e, totalmente o in parte, della parte esterna del chicco comprendente la crusca e lo strato aleuronico (tessuto contenente proteine di riserva ad elevato valore biologico).
Chi pensa che la farina utilizzata per fare il pane non sia altro che il prodotto della molitura del chicco di grano si sbaglia. Di solito è addizionata di sostanze che hanno il compito di rimediare alla sua cattiva qualità e di accelerare la lievitazione. In tal modo un impasto, che senza queste sostanze stenterebbe a lievitare, lievita molto e in pochi minuti. Il pane così ottenuto procura gonfiore perché i lieviti, pur crescendo numerosi, non hanno il tempo di rendere digeribili l’amido e le proteine della farina. Ne sconsiglio l’uso soprattutto alle persone che sono intolleranti al lievito o soffrono di candidosi intestinale. Se proprio vi si deve ricorrere, lo si consumi dopo averlo tostato perché così diventa più digeribile e anche un po’ più saporito. Il pane troppo lievitato (la michetta e la rosetta sono due esempi) si riconosce perché è quasi vuoto all’interno. È anche ricco di purine ed è quindi sconsigliabile alla persone che soffrono di acido urico. Evitate di consumare i pani speciali a lunga conservazione (pan carré, pane a fette o da sandwich). Non solo contengono vari additivi e grassi ma sono trattati anche con alcol etilico.
Durante la lievitazione naturale, amido e proteine (compreso il glutine) subiscono una benefica trasformazione. Se la farina impiegata è integrale, la crusca e la fitina sono rese innocue. La lievitazione acida produce anche sostanze che hanno un effetto benefico sullo sviluppo della microflora intestinale (effetto prebiotico) o svolgono azione preventiva rispetto alle malattie degenerative (delle virtù salutari del pane vi parlerò nel prossimo articolo). Si sviluppano anche numerose sostanze aromatiche. Tutto ciò fa sì che il pane che si ottiene dalla lievitazione naturale sia saporito, digeribile e salutare. Ovviamente la farina impiegata deve essere di qualità. Pani tipici apprezzabili di questo tipo sono quelli di Genzano e Altamura.
Un pane è veramente buono se è fatto con farina di qualità, come quella che si ricava da varietà antiche e da coltivazioni non forzate a produrre attraverso eccessive concimazioni azotate, e che sia stata macinata da poco. Se la lievitazione dell’impasto è fatta con il lievito di birra, deve essere lenta e non accelerata da miglioratori. La farina è veramente integrale se comprende anche il germe.
Ricordatevi che il pane integrale, anche se biologico, non può che essere fatto con la lievitazione naturale, altrimenti può dare problemi digestivi per la mancata degradazione della crusca. È importante che anche l’acqua usata per l’impasto sia buona. Ideale è quella di sorgente, ma in mancanza si faccia attenzione al suo contenuto in cloro e in nitrati.
Un buon pane, biologico o no, se ben conservato, dura diversi giorni. Più il formato è grande più a lungo si conserva. Deve essere tenuto nel suo involucro di carta o in una borsa di stoffa (cotone o lino) chiusa, a temperatura ambiente e lontano dall’umidità. Il pane non va mai consumato caldo appena sfornato perché, oltre a pesare di più, può dare problemi digestivi. Un’ultima raccomandazione: non buttate il pane raffermo ma utilizzatelo per preparare gustose pietanze.
Nessun commento:
Posta un commento